mercoledì 5 dicembre 2007

VELTRONI: SERVE UN BIPOLARISMO NUOVO

Fa un bell’effetto ritrovare nelle parole di Tony Blair che ho letto nell'intervista a La Stampa di domenica i toni e i contenuti di lunghe conversazioni avute con lui, ormai dieci anni fa, a Downing Street. Mi colpisce la schiettezza e la linearità di ragionamenti che non hanno perso attualità e freschezza, penso soprattutto alle sue frasi che guardano a cosa deve essere la sinistra del nuovo millennio, anche se non voglio sfuggire alle parti dell'intervista che - con qualche forzatura - hanno portato ai titoli tutti virati sui rapporti tra Partito democratico e sinistra radicale. Ma ci arriverò in seguito. Vorrei partire da una constatazione preliminare. L'ex primo ministro britannico ha parlato a una iniziativa promossa dalla Confindustria a Venezia. Significa che una delle più grandi organizzazioni di interessi rifugge dall'antipolitica e al contrario si misura con una delle più lunghe e innovative esperienze politiche d’Europa. La scelta di Blair indica un interesse forte per una politica capace di produrre decisioni. E allora entriamo nel merito di quanto ha detto l'ex premier laburista. I temi forti sono sostanzialmente tre e vanno letti insieme. Il primo si può sintetizzare in una frase: «I partiti progressisti vincono solo quando controllano le chiavi del futuro». Ecco, credo che l'esperienza che sta impegnando il Pd nasca proprio da questa considerazione: che i vecchi schemi non reggono più, che gli strumenti di un tempo non sono più adeguati. È da questa consapevolezza che siamo partiti, raccogliendo l'esperienza di novità dell'Ulivo ma volendo andare più avanti. Credo che l'affermazione di Blair, vera in tutta Europa, sia ancora più vera in Italia, dove il sistema politico ha accumulato più ritardi ed è sembrato a lungo non trovare risposte. Mi è capitato di dire in un altro Paese europeo in cui la sinistra è in cerca di nuove idee, la Francia, che dobbiamo tutti «uscire dal recinto delle nostre sicurezze e delle convinzioni consolidate, trattenendo ciò che di buono e di attuale in esse c'è, e cercare, con apertura e con coraggio, ciò che di altrettanto valido c'è nelle idee degli altri, così come ciò che di fruttuoso ci può essere in tanti terreni ancora inesplorati».Blair parla di innovazione e ricerca, di opportunità. È il linguaggio della sinistra moderna, perché io credo che non cambiano, non possono cambiare, i nostri compiti fondamentali: crescita economica unita alla coesione sociale, meno disuguaglianze e più opportunità, possibilità per ciascuno di mettere alla prova le proprie capacità indipendentemente dalle condizioni di partenza. La sinistra, ma io parlerei nel nostro Paese di centrosinistra, deve non rinunciare ai propri compiti e aggiornare le risposte all'altezza delle nuove sfide, la prima delle quali oggi è, sul terreno sociale, quella della precarietà: a questa domanda che viene soprattutto dai giovani dobbiamo saper rispondere rimettendo in moto l'economia (e i primi segnali si possono già vedere nell'azione del governo Prodi), perché se l'economia va male non ci può essere giustizia sociale. L'ho detto e ripetuto: è la povertà, non la ricchezza, il nostro primo avversario.Il secondo tema affrontato da Tony Blair è quello della forma partito. Lui viene da un vecchia solida formazione che ha saputo trasformarsi. Noi in Italia abbiamo appena compiuto un passo fondamentale costruendo un partito che fin dal suo atto di nascita vuole essere nuovo e vuole cambiare la politica. Potrei sottoscrivere le parole di Blair quando parla di «un organismo il più possibile aperto alla società», in cui a forme tradizionali di militanza si accompagnino modalità diverse di associazione. Un partito che sia dove vive la gente e nei luoghi, reali e virtuali, dove vivono i saperi, le competenze, i valori.Credo sia proprio questo l'obiettivo, e credo che l'avvio del Pd abbia già dato su questo terreno segnali di discontinuità. Quello che mi preme sottolineare è la vocazione all'ascolto (che cosa sono le primarie se non un ascolto di massa al più alto livello?) e alla permeabilità del partito rispetto alla società. Un ascolto che deve saper produrre decisione.E qui arriviamo al terzo argomento, quello forse più spinoso. Blair, che viene da una secolare tradizione politica di bipartitismo e da un sistema elettorale super-selettivo, parla con preoccupazione dei condizionamenti delle piccole «componenti radicali» e indica nel centro «il terreno dove si conquista il consenso nel Paese». Due annotazioni: l'ex premier parla di «centro riformista» e con questa espressione designa il corpo sociale attorno al quale costruire politiche di riforme. Nelle sue parole non c'è, e non potrebbe esserci, alcuna allusione a quel concetto di centro tipico della politica italiana. Il Pd è la grande forza del campo del centrosinistra, della cultura che deve rappresentare il riformismo e la radicalità dell'innovazione economica, sociale e ambientale. Questo partito, che non pretende di racchiudere in sé tutte le risorse del cambiamento, può e deve oggi coltivare la sua vocazione maggioritaria. L'Italia deve uscire dal bipolarismo forzoso che ha portato a sminuire la forza innovativa dei programmi e che oggi costringe il Paese ad una navigazione difficile, esposto come è al condizionamento dei singoli che finiscono per pesare più di milioni di elettori. Ci vuole un bipolarismo nuovo, fondato sull’energia di un programma di profondo cambiamento e sull’affidabilità e omogeneità della forza, o delle forze, che lo sostengono.Una democrazia comprensibile, trasparente e che sa decidere. È questo il nostro modo di essere centro sinistra. E riprendere con Blair i discorsi avviati a Blackpool nel 1996, quando l'ho conosciuto per la prima volta mentre l'Ulivo era già al governo e il Labour si preparava a rompere il decennio thatcheriano, mi appare come una sfida stimolante ma anche come il segnale di quanti passi in avanti il Pd abbia già compiuto.

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