mercoledì 6 febbraio 2008

ANCORA AL VOTO CON LE QUOTE GRIGIE

La crisi di governo porta il paese a elezioni anticipate. Il Parlamento non è stato in grado di approvare una riforma elettorale in questi due anni, e sarà dunque probabilmente rinnovato con la legge Calderoli. In questi giorni molte sono le voci del mondo imprenditoriale, del sindacato, della società civile che si sono alzate per chiedere di non andare subito al voto con l'attuale legge, per non parlare poi della richiesta di referendum, sottoscritta da più di 800mila elettori.Ma ancora più alta dovrebbe alzarsi la voce di una parte importante della popolazione, quella più svantaggiata dall'attuale sistema elettorale e istituzionale: i giovani. I motivi sono vari.

VINCOLI COSTITUZIONALI
Se si torna al voto con le regole attuali rimangono in vigore le "quote grigie", ovvero i vincoli di 25 e 40 anni per poter essere eletti rispettivamente alla Camera e al Senato, e di 25 anni per poter votare al Senato. Da notare che i limiti di età sono ancora quelli fissati nel lontano 1948, inseriti espressamente nella Costituzione, agli articoli 56 e 58. L'unico vincolo relativamente meno rigido, che non richiede cioè una riforma costituzionale per essere ritoccato, è quello generico della "maggiore età" (articolo 48) per votare alla Camera dei deputati. Può essere interessante, nonché istruttivo, capire la genesi di queste soglie anagrafiche. Il limite di venticinque anni alla Camera fu imposto non senza polemiche: il dibattito fece emergere proprio l'iniquità di una norma che escludeva dalla possibilità di essere eletti tutti i cittadini tra i ventuno e i venticinque anni (la maggiore età fu abbassata a diciotto anni solo nel 1975). La posizione della commissione fu però quella di uniformarsi al criterio diffuso, perlomeno a quei tempi, di una differenza tra le età di elettorato attivo e passivo. Discorso analogo per il Senato, cui si aggiunse l'esigenza che questa camera fosse composta "di elementi che, anche per la loro età, [dessero] garanzia di serenità, di obiettività e soprattutto di maggior ponderatezza". Indicazione che appare drammaticamente ironica alla luce degli ultimi avvenimenti.

L'IMPORTANZA CRUCIALE DEL SENATO
Si tratta di vincoli, come ampiamente riconosciuto, che risultano oramai anacronistici, ma che soprattutto non trovano eguale in nessun altro paese occidentale. Limiti di età che sarebbero eccessivi con qualsiasi sistema elettorale e con qualsiasi condizione demografica, ma che sono ancor più insostenibili nel caso italiano. L'attuale legge elettorale rende infatti cruciale la configurazione che si crea al Senato, sulla quale non possono incidere in alcun modo gli under 25 e che non prevede la presenza di alcun under 40. Il "bicameralismo perfetto" pone poi di fatto ciascuna camera in posizione di esprimere un veto su ogni legge e su ogni riforma. Questo significa che il Senato (la "camera grigia") ha gli stessi poteri della Camera pur essendo evidentemente, e drammaticamente, meno rappresentativa della prima. Se quindi ci fosse, teoricamente, qualche legge auspicata dagli under 40 e invisa alle generazioni più anziane, avrebbe difficoltà a passare. Se, poi, è soprattutto il Senato a essere cruciale per la sopravvivenza dei governi, ne consegue che di fatto il voto dell'elettorato under 25 non vale nulla e il ruolo di condizionamento degli under 40 sulle scelte politiche è in pratica irrilevante. Non è tutto. Le "liste bloccate" penalizzano ulteriormente il ricambio generazionale. L'unica possibilità per un giovane che voglia farsi strada, entrando alla Camera, è quella di essere cooptato per decisione di chi detiene già il potere all'interno dei partiti.

LA PERDITA DI PESO DELLA CAMERA
Va considerato, poi, che agli under 25 non solo è preclusa la possibilità di essere eletti alla Camera e di votare per il Senato, ma il loro peso elettorale è andato drammaticamente diminuendo dalle elezioni del 1992 in avanti, come conseguenza delle dinamiche demografiche. Semplicemente l'aver lasciato inalterati i vincoli di età esistenti dal 1948, non solo non ha permesso di aumentare le prerogative delle generazioni più giovani, adeguandole a quelle dei coetanei degli altri paesi, ma le ha di fatto peggiorate, data l'accentuata diminuzione della loro consistenza demografica.Alle elezioni politiche del 1992 (le ultime della "Prima Repubblica") gli under 25 costituivano ancora il 14 per cento dell'elettorato. Da allora si è assistito a una continua contrazione fino agli attuali valori di poco superiori all'8 per cento. Il peso dei più giovani, già eccessivamente limitato dai vincoli dell'attuale sistema elettorale, si è ridotto di quasi il 40 per cento negli ultimi quindici anni. Grazie alle dinamiche demografiche e all'inerzia nel riadattare e rivedere le regole del gioco della partecipazione democratica, i giovani italiani sono tra quelli, nel mondo occidentale, con minor peso politico. Tutto ciò ha evidentemente ricadute penalizzanti, come ben documentabile nel confronto con gli altri paesi, sia in termini di politiche per i giovani che di presenza delle giovani generazioni nelle posizioni di prestigio e potere.

E SE I GIOVANI NON VOTASSERO (PER PROTESTA)?
Difficile pensare che prima delle prossime elezioni ci sia ancora la possibilità di una riforma costituzionale che consenta di rivedere le "quote grigie". Stando così le cose, vista l'inconsistenza del peso elettorale degli under 40 (e ancor più degli under 25), potrebbe trovare humus favorevole l'idea, da parte delle più giovani generazioni, di usare almeno il (non) voto come protesta. Ciò nella convinzione che un gesto simbolico eclatante possa valere più di un voto inconsistente come pressione per l'abbattimento definitivo delle "quote grigie" e la revisione delle regole del gioco della partecipazione democratica.




Giuseppe Calderazzo

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